Chiesa parrocchiale di San'Antonio da Padova

L’attuale parrocchiale dedicata a S. Antonio da Padova si trova al centro del paese tra l’antica chiesa di Sant’Andrea e l’antico luogo di riunione civile dei rappresentanti del paese, sa Domo Comunale, pertanto occupava uno dei luoghi più importanti del centro urbano.

Le prime notizie sono del XV secolo, quando compare, insieme alla chiesa di S. Croce, nell’elenco fatto compilare dal vescovo di Galtellì. È probabile che la sua costruzione risalga alla prima metà del XV secolo anche se la sua struttura è stata continuamente rimaneggiata sino ai giorni nostri. I lavori più importanti avvennero probabilmente nel XVIII secolo, quando, a causa del pessimo stato della chiesa di S. Andrea, da co-aggiunta si tramutò in parrocchiale. Mons. Delbechi, in visita pastorale a Lodè, ordinò la sconsacrazione della Chiesa di Sant’Andrea il 22 di aprile del 1768; una settimana dopo e precisamente il giorno 29 il Liber Defuntorum assegnava alla chiesa di Sant’Antonio il titolo di parrocchia. Su questa chiesa possediamo diverse fonti, documentarie e fotografiche, che permettono di ricostruirne la storia, ricavarne la struttura e conoscerne i beni.

La sua costruzione si collocherebbe tra il 1361, anno in cui viene ricordato il primo rettore della parrocchia, e gli anni precedenti al 1490, periodo in cui compare menzionata una chiesa dedicata a Sant’Antonio.

E’ probabile che la costruzione della chiesa sia dovuta all’iniziativa dei Carròç, Baroni di Posada o che, comunque, questi abbiano in parte contribuito all’edificazione della cappella di Montserrat.

L’inventario del 1560 riporta la prima descrizione, probabilmente incompleta, della chiesa e dei suoi beni. Il presbiterio, chiuso da una balaustra in ferro, ospitava l’altare maggiore dedicato al santo titolare sul quale campeggiava un crocifisso. Dopo aver ricordato l’elenco degli altri beni il documento si sofferma a indicare l’esistenza del campanile, sormontato da due campane.

Più cospicue risultano, invece, le notizie presenti nel secondo inventario (1601): la chiesa possedeva diversi altari corredati dai rispettivi paliotti, paramenti, argenti sacri, libri e vari retabli, alcuni molto antichi. Gli altari in totale erano quattro, a parte quello di Sant’Antonio gli altri erano dedicati alla Madonna del Rosario e a San Sebastiano e alla Madonna di Monserrat sormontati dai rispettivi retabli. Tra i beni inventariati è degno di essere menzionato il paliotto, in oro e pelle, con l’immagine di Sant’Antonio Abate.

Nonostante la chiesa sia stata continuamente rimaneggiata, le trasformazioni e i restauri che si effettuarono non intaccarono la sua struttura essenziale sino alla prima metà del XX secolo, quando fu necessaria la sua quasi completa demolizione e ricostruzioni per ragioni di statiche.

Nel 1777 la chiesa a navata unica, oltre agli altari precedenti, tra cui uno dedicato alla Vergine Assunta, dove probabilmente si trovava la statua dormiente adagiato sulla sua lettiga, contava di due grandi cappelle laterali, una dedicata alla Vergine di Monserrat e l’altra allo Spirito Santo.

Il presbiterio si trovava in alto, separato dal resto della chiesa da una balaustra, dietro l’altare trovava posto il coro. All’interno della chiesa venivano ricavate alcune sepolture, riservate in un primo tempo ad accogliere solamente le salme dei sacerdoti i quali riposavano illegalmente nei pressi dell’altare maggiore, luogo riservato alla sepoltura degli arcivescovi di Cagliari, già vescovi di Galtellì. Il battistero si trovava a ridosso della facciata e conservava ancora la sua forma antica. È probabile che si trattasse dell’antico battistero già attestato nella chiesa di Sant’Andrea e qui trasferito a seguito della rovina della chiesa, insieme al suo altare maggiore.

La facciata, come appariva in alcune foto degli inizi del XIX secolo, era barocca, divisa verticalmente in tre specchi da due lesene alte sino al timpano che a sua volta non aveva il solito aspetto triangolare ma a curva ellittica, a sua volta inquadrata da una nicchia che ospitava la statua del Santo. Le lesene provviste a diverse altezze di alcuni capitelli, superata l’altezza del timpano, terminavano a forma di tronco di piramide sormontata da una sfera. Le estremità della facciata erano racchiuse da altre due lesene sul modello delle prime. Al centro si trovava la porta principale con arco a tutto sesto, racchiuso da una cornice aggettante.

Importanti restauri furono realizzati, nel corso dei secoli, sia dentro che fuori l’antico edificio. Ricordiamo i numerosi interventi per sanare i problemi di infiltrazione di acqua piovana dal tetto, la rimozione delle travi malate che lo sostenevano e il ricambio continuo delle sue tegole.

Possiamo riassumere in quattro tappe i lavori che interessarono la parrocchiale. In primis la costruzione della cappella a sinistra dedicata allo Spirito Santo, successivamente la riforma di quella dedicata alla Vergine di Montserrat per cui venne dedicata anche a Santa Lucia, e finalmente la riforma del presbiterio, fino ad arrivare alla ricostruzione del tempio durante il XX secolo da parte del canonico Marcello.

Il culto verso la terza persona della Ss. Trinità è attestata per la prima volta nel 1623, allorquando il parroco, facente funzione di notaio, metteva per iscritto la volontà da parte di Juan Antonio Solinas di lasciare tutti i suoi beni all’altare dello Spirito Santo, affinché, dopo la morte della moglie, si costruisse una cappella. Questa fu edificata dove adesso si trova l’altarino dedicato a San Pietro, simmetrica e parallela alla più antica cappella di Monserrat. L’importanza di questa nuova costruzione fu tale che da essa prese il nome una delle antiche vie del paese, intitolate appunto a s’Ipiritu Santu.

Non conosciamo, invece, chi fu il rifondatore della cappella dedicata al culto della vergine siracusana dentro quella più antica di Montserrat. Per avere una testimonianza più concreta bisogna arrivare al 15 luglio 1643 momento in cui veniva aperto il testamento di Joan Pau Seque. Questi disponeva, nel caso di morte senza eredi diretti, che tutti i suoi beni andassero alla cappella di Montserrat e di Santa Lucia, costituendola all’uopo erede universale. L’utilizzo della doppia titolazione per questa cappella è attestato pure dal questionario Corongiu del 1777 e da una seri di legati pro anima, con cui si lasciavano beni mobili e immobili per sopperire al mantenimento e al decoro della stessa; non si hanno invece indicazioni di questo genere anteriori al 1639, quando ancora ci si riferiva ad una cappella dedicata alla madonna di Montserrat. Il culto di Santa Lucia è da far risalire alla prima metà del XVII secolo, probabilmente tra il 1639 e il 1643.

La struttura conservatasi intatta fino agli anni ’40 del secolo precedente, è ormai scomparsa del tutto. Le fondamenta e le cripte riservate alla sepoltura dei sacerdoti e dei fedeli si trovano attualmente nascoste sotto il pavimento del braccio destro della chiesa, contenente l’altare di Santa Lucia e presso i gradini del presbiterio. La sua collocazione come la forma della struttura si possono ancora dedurre da un disegno ottocentesco, che riproduce in pianta le linee dell’antica chiesa di Sant’Antonio, prima della demolizione. Questi dati assieme a quelli che potrebbero essere raccolti da uno scavo archeologico potrebbero fornire nuove e importanti informazioni circa l’origine della chiesa e le sue trasformazioni architettoniche.

La chiesa antica, prima dei rifacimenti settecenteschi ed ottocenteschi presentava un impianto ad aula unica, molto allungata, conclusa in un primo tempo da un presbiterio quadrangolare. La navata era coperta da un soffitto a capriate lignee, mentre le due cappelle laterali, a cui si accedeva dalla nave principale mediante un arco, erano ricoperte da una volta in mattoni. Nel XIX secolo si decise di ampliare il presbiterio con l’aggiunta dell’abside e l’abbellimento di tutto il presbiterio, a cui si accedeva tramite una scalinata che immetteva sull’arco trionfale.

Nel 1839 si era così provveduto ad eliminare l’antica balaustra in ferro sostituita da una in legno, mentre dieci anni dopo la parrocchia di dotava di un organo a canne, per accompagnare le celebrazioni liturgiche. Il tempio continuava comunque a presentare problemi di staticità per cui anno dopo anno venivano contrattati muratori e manovali per rimettere in sesto parte delle mura e del tetto.

In questo periodo è da porsi pure la collocazione dell’altare seicentesco di Sant’Andrea nel presbiterio nuovo di Sant’Antonio da Padova. La presenza di un altare monumentale in marmo, di un certo pregio, bene si armonizzava con il nuovo arredo liturgico e con la bellezza di un nuovo presbiterio, nel momento in cui l’ex parrocchiale da poco restaurata aveva perso tutta la sua importanza.

L’abbellimento e la riforma del tempio continuarono negli anni successivi. Nel maggio del 1868 si disponeva una certa somma per la costruzione di un nuovo fonte battesimale e di due altari laterali.

Come evidenziano i documenti la chiesa di Sant’Antonio, nelle sue parti più antiche, soffriva di un notevole degrado dovuto a diversi elementi: problemi di infiltrazioni d’acqua dal tetto, problemi dovuti all’umidità ascendente sui muri, infiltrazione di umidità direttamente dai muri esterni a contatto con il suolo e infine il continuo scuci e cuci del paramento murario antico per l’addossamento di nuove strutture architettoniche. Gli interventi plurisecolari e stratificati avevano già di per sè reso instabile l’intero edificio il cui risultato finale era frutto di diverse aggiunte architettoniche, non in accordo con l’impianto storico. Tutti questi fattori mettevano a rischio la stabilità dell’intera struttura, per cui risultava improrogabile prendere una decisione.

Nel dicembre del 1945, la decisione fu presa, a seguito di una serie di violenti temporali e di diverse alluvioni, verificatesi attorno agli anni ’30 e ’40 del 1900. In questo senso fu decisivo il maltempo del 21 ottobre del 1940, momento in cui l’edificio risultò completamente danneggiato a causa di alcuni torrenti, che scendendo da “su Cantaru” investirono in pieno la chiesa, determinando l’esplosione di alcune sorgenti sotterranee le cui acque andarono ad infiltrare tutte le parti della chiesa. L’abside, il presbiterio, la sacrestia, la travatura del tetto e l’intera aula presentarono numerose criticità.

Non era la prima volta che si assisteva a questo tipo di eventi. Già il 5 dicembre del 1896 il sindaco di Lodè e l’allora parroco avevano vietato l’accesso ai fedeli, a motivo di una grande temporale durato 15 giorni. Come dimostrano i documenti parrocchiali, questo tipo di circostanze si ripeterono costanti per tutto l’arco temporale compreso tra la fine del XIX secolo e la prima metà del secolo successivo; per questo motivo si rese necessario pensare o a un restauro dell’antico edificio oppure a una sua ricostruzione ex novo. Si optò per la seconda opzione conservando alcune parti dell’antica struttura.

Forte dell’appoggio morale ed economico dell’intera popolazione e dopo numerose difficoltà, dovute alla mancanza di fondi, don Marcello dette avvio ai lavori di costruzione nel 1944. Il progetto fu ideato e disegnato, per un modico prezzo, da uno dei più importanti architetti italiani della prima metà del ‘900, Oreste Scanavini di Milano; a lui si deve, tra le altre opere, la costruzione della cattedrale cattolica di Asmara in Eritrea. Il progetto proposto dall’architetto, poi in piccola parte modificato dall’architetto don Giovanni di Verri, prevedeva una chiesa a croce greca coperta da una volta a botte, con cupola all’incrocio dei bracci di raccordo, cioè tra la nave e il transetto; venivano integrati alla nuova chiesa il vecchio presbiterio, la sua abside e l’antica sacrestia.

I numerosi documenti conservati da don Marcello così come la sua corrispondenza, che coprono un arco di tempo che si estende dal 1938 al 1956, rivestono una grande importanza per conoscere tutte le tappe, successi e difficoltà che si dovettero affrontare per la costruzione della parrocchia. A un primo entusiasmo, verso gli anni 38/39 (ante guerra), si succedettero anni difficili, dovuti alla mancanza di fondi, dei materiali e di manodopera specializzata.

L’abbattimento della vecchia chiesa si protrasse dal 1941 al 1944, anno in cui finalmente venne cominciata la nuova costruzione con la benedizione e posa della prima pietra ad opera di S. Ecc. Mons. Beccaro e la consacrazione dell’edificio al Sacro Cuore. Queste le parole di don Marcello:

“Mentre infuria la guerra e crollano sotto immani valanghe di ferro e di fuoco le più celesti chiese di questo nostro martoriato Continente, <>, come lo ha chiamato il suo vescovo, con grande atto di fede ha voluto il 7 maggio iniziare la ricostruzione della sua Chiesa Parrocchiale”.

Preoccupato di non riuscire a portare a termine il lavoro in tempi ragionevoli e di non vedere conclusi i lavori, don Marcello si diede molto da fare per cercare i contributi necessari per terminare la chiesa. Tra i personaggi a cui si rivolse ricordiamo in primis il papa Pio XII e successivamente il cardinale arcivescovo di New York, Francis Spellman.

Il papa, con missiva datata Vaticano 28 febbraio del 1946 a firma del Sostituto della Segreteria di Stato, Giovanni Battista Montini, futuro papa Paolo VI, faceva pervenire alla parrocchia la somma di 10.000 lire, destinata alla ricostruzione, e la Benedizione Apostolica da estendersi all’intera popolazione.

Nel 1947 erano state terminate le volte, ma mancava ancora la cupola, la facciata e l’innalzamento del campanile e i fondi erano sempre insufficienti. Per questo motivo scrisse nuovamente al pontefice chiedendogli la possibilità di vendere gli ex voto in oro ed argento donati nei secoli dai fedeli alle immagini della Vergine e dei Santi; non è arrivata sino a noi la lettere di risposta ne sappiamo se effettivamente l’alienazione sia andata a buon fine.

I lavori per la costruzione della chiesa continuarono negli anni successivi, così come la preoccupazione di don Marcello di vedere finalmente terminata la sua opera, anche dopo la sua nomina a cancelliere vescovile e la conseguente dipartita da Lodè, nel 1950.

I lavori per la nuova chiesa iniziati nella prima metà del ‘900 furono portati a termine ad opera di don Luciano Pala, al quale si devono importanti lavori alla sacrestia, alle cappelle laterali, alla cupola, al campanile e per ultimo alla facciata.